Le vedove del giovedì

14.06.2013 10:19

Le vedove del giovedì

 

di Claudia Pineiro

edito da il Saggiatore

pag. 281

 

Una storia che inizia dal suo epilogo, e man mano ci svela il perché di tre cadaveri in una piscina, le vite nascoste dietro alte siepi al riparo dal mondo, dalla crisi, dalla realtà, che poi finiscono per sbatterci contro.

Siamo a Buenos Aires, anno 2001, non è solo l’anno dell’attentato alle Torri Gemelle, ma quello del definitivo tracollo economico di una nazione, che per molto tempo si è illusa d’essere ricca, risvegliandosi in un brutto sogno che si rivela essere la realtà. Tutto comincia alla fine degli anni ’80, quando Virginia e la sua famiglia si trasferiscono nell’idilliaco quartiere alla periferia della capitale, ‘La Cascada’ lo chiamano, il luogo più sicuro al mondo, con case tutte uguali, servizio di sicurezza privato, scuole di alto livello, parchi e giardini con piscina. Un’isola felice in mezzo alla nazione che affonda. Una comunità chiusa, con le sue regole, i suoi privilegi, le sue ipocrisie, gli immensi campi da golf su cui giocare sotto il sole, i tornei di tennis del quartiere, e nuovi amici da farsi tra i vicini. Chi arriva a La Cascada taglia fuori il suo passato, è come ricominciasse da zero appena varcata la soglia, come se tutto ciò che sta al di fuori di quei cancelli e di quelle alte siepi non esistesse. Insieme a Virginia - che presto diventa un perno della piccola comunità - si trasferiscono Teresa e Tano Scaglia, il prepotente Tano abituato ad averle tutte vinte, e poi Gustavo e sua moglie Carla, che non riescono ad avere figli, Lala e suo marito Martin, ebreo tra i pochi tollerati nel quartiere, e con loro molti altri, che s’illudono di vivere così per sempre, al riparo dalla crisi e dalla violenza che dilaga.

Ogni giovedì i mariti di Virginia, Lala e Carla, si riuniscono a casa di Tano per giocare a carte e stare tra uomini, lasciando le mogli ‘vedove’, almeno per una sera, alle prese con i figli, la prestigiosa scuola inglese che tiene separati maschi e femmine, le domestiche impiccione, e i dolori di donna mascherati sotto il trucco pesante. La crisi morde Buenos Aires come un cane rabbioso, ma loro sembrano indenni, la gente ha fame, la violenza cresce, ma loro sono al sicuro. Eppure anche i muri di La Cascada hanno le loro breccie: Ronie perde il lavoro, Virginia è costretta a fare i salti mortali per mantenere il loro stile di vita, Martin resta disoccupato e Lala continua a fare spese folli. Nessuno vuole perdere ciò che ha, e più si ha, meno si è disposti a perdere.

Il romanzo dipinge i contorni di un mondo dorato, destinato a crollare come tutto intorno ad esso. Per i protagonisti fingere che tutto vada bene è più facile che ammettere i problemi, sono assuefatti a una finta felicità, che li ha resi dipendenti e incapaci di vivere fuori da quel recinto d’invisibile filo spinato.

Fare i conti con la realtà sembra impossibile, troppo doloroso, logorante, per chi ha tutto rinunciare agli agi equivale a morire, e gli abitanti di La Cascada  muoiono un po’ ogni giorno, annegando tra debiti e bollette, la retta per la scuola, le apparenze da salvare con gli amici. Ma davvero possono definire amico il vicino di casa? Nessuno in fondo conosce il passato dell’altro, ciò che accade una volta richiusa la porta alle spalle, resta segreto, ma non per tutti.

Sembra quasi la descrizione di un esperimento scientifico, con cavie umane costrette alla convivenza in uno spazio circoscritto. Invece è tutto vero, non i protagonisti, ma l’esistenza di comunità chiuse alla periferia di grandi città come Buenos Aires, che durante la crisi hanno continuato a illudersi che il mondo fuori non le riguardasse. Ad Altos de la Cascada la vita era fatta di sport, cene tra amici, giardinaggio, seminari sul feng-shui, l’infelicità veniva respinta oltre le barriere sorvegliate dai guardiani, insieme a tutti coloro che non erano soci e non avevano il permesso di entrare. Si gioca per strada, si esce a qualunque ora, non si chiudono le porte, perché lì tutti si conoscono, tutti sanno chi è l’altro, e nessuno può turbare la perfetta armonia sotto la campana di vetro. Ma la perfezione non esiste: ai cani che abbaiano troppo vanno tagliate le corde vocali, ai bambini che turbano la quiete va fatto un richiamo o una multa, è preferibile che i nuovi arrivati non siano ebrei né infoltiscano altre etnie poco gradite. Ogni comunità ha le sue regole e questa non fa eccezione, ma pur di continuare a farne parte, a volte si è disposti a tutto…

 

Voto 8 e mezzo