Diario di una maîtresse

19.07.2013 00:20

Diario di una maîtresse

 

di Sergio Barletta

edito Pellegrini

Pag. 143

 

La storia di un incontro, il racconto di un segreto custodito per anni, un tuffo nella storia dimenticata. Attraverso gli occhi del quindicenne Tonino esploriamo i luoghi oscuri della città e insieme dell’anima, lì dove si annidano prostitute e pederasti, eppur sopravvive l’incanto di una bellezza passata. Il declino inarrestabile dell’Italia meridionale degli anni Sessanta, altezzosa nonostante le ferite inferte. È il dopoguerra e Cosenza stenta a rialzarsi sulle sue gambe, resta fiera ma impotente, uno scrigno che custodisce più di un segreto e che Tonino sta per aprire. Catturato dall’indolenza dei compagni di scorribande, il ragazzino lascia l’apprendistato da idraulico e si trova a vagare per le vie della città vecchia, con cinquemila lire in tasca che sembrano una fortuna, e per quanto si sforzi non riesce a sperperare. Diventerà un ladro come suo padre Peppino in attesa di giudizio? Si lascerà andare alla deriva come molti suoi coetanei? Forse per lui c’è ancora speranza, racchiusa nel racconto di una vecchia coi capelli d’argento e la parlantina sciolta.

Zia Genia racconta a Tonino la triste storia di Ester, riportando alla luce un passato dimenticato, che qualcuno ha deciso di cancellare insieme ai suoi brutti ricordi. Zia Genia, la tenutaria del bordello abusivo più frequentato della città, lei che ha accolto giovani alla ricerca di se stesse senza mai tiranneggiarle, tributando loro il dovuto rispetto invece di riempirle di botte come accade a chi fa quel mestiere. Zia Genia ha molte storie da raccontare, le stanze della casa dalla finestra gialla hanno visto passare prelati, politici e forestieri, senza mai negare il piacere ad alcuno. Ma la donna sceglie di narrare la storia di Ester, la rossa dagli occhi verdi deportata al campo di Ferramonti, solo per il suo cognome, perché è ebrea in un tempo in cui esserlo equivale a condanna. Tonino ascolta avidamente ogni parola su Ester, sulla sua bellezza mai del tutto sfiorita nonostante i disagi e l’umiliazione di rasarsi a zero, e sull’amore per i figlioletti deportati insieme a lei e costretti a subire fame e freddo. I fascisti del campo di Ferramonti non sono più uomini ma soltanto caporali, servi di un’idea malata, di un Duce infervorato dai propositi di vittoria, di leggi razziali che vergognosamente macchiano l’Italia. Ester non ha colpa del delirio di onnipotenza di due folli convinti di conquistare il mondo, ha solo il suo corpo, l’ultimo scudo in difesa dei suoi bambini, e per loro inizia a donarsi in cambio di un tozzo di pane.

Nel racconto di zia Genia Esterina assume una fisionomia precisa: diventa di carne e sangue, per quanto le ossa sporgano dal corpo smagrito, si purga nel dolore, si abbandona ad esso, non puo’ che espiare la sua pena donando se stessa a chi soffre come lei. Ester è la donna di tutti e di nessuno, del piacere e del dolore, ormai vuota si riempie della sofferenza e del desiderio altrui, fosse anche per donare un istante di sollievo a chi sta per morire. I tre anni al campo sono una discesa all’inferno da cui potrebbe non fare ritorno, da cui forse non vuole neppure tornare...

Sergio Barletta ha riportato alla luce un frammento d’Italia sepolta sotto strati di polvere e abbandono, Ferramonti, il suo filo spinato, le sue vittime innocenti, sono davvero esistite, ma sembrano appartenere anch’esse al racconto di zia Genia, come Ester, come il suo amore. Un tuffo nella storia che ci costringe ad aprire gli occhi e ricordare ciò che è stato, mescolando ad arte realtà e fantasia. L’orrore ha abitato a pochi metri dalle nostre case, il Duce non è il gemello meno cattivo di Hitler, e chissà quante Esterine hanno vagato in quei campi di morte in cerca di un briciolo di umanità. Un linguaggio baroccheggiante che accarezza il lettore e lo trascina in un abisso che a tratti profuma d’oriente, altri puzza di zolfo. Un romanzo che affonda le unghie nella carne, scava la tenebra e ne tira fuori brandelli di umanità, squarci di luce, come quelli osservati da Tonino, incantato dai riflessi sull’acqua nel bicchiere di cristallo. Il ragazzo ricorderà la storia di zia Genia, e i lettori non scorderanno Ester.

voto 8